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Punizioni, vergogna e potere

Un altro importante aspetto che ha contribuito alla definizione del kinbaku moderno è il modo in cui i criminali venivano puniti durante il medioevo giapponese.

Il Giappone ha ereditato molte delle sue tradizioni più antiche dalla Cina, incluse le modalità di esecuzione della giustizia e così nei suoi periodi più antichi e brutali (specialmente durante il Sengoku  o “Periodo degli Stati combattenti”) vi erano pratiche come le esecuzioni pubbliche, il tatuaggio dei criminali o altre forme di deturpazione, lo scuoiamento, la lapidazione, il dismembramento e così via. Questa pratiche venivano messe in atto da qualunque signore o clan fosse al potere in una determinata area. Lo scopo di queste punizioni pubbliche era di dimostrare l’assoluta del potere sulle persone e di utilizzare i condannati come esempio per dissuadere altri dal commettere simili atti. In questo vediamo un altro importante aspetto tipico del carattere giapponese, ovvero il concetto di vergogna.

A differenza delle culture occidentali dove il senso di colpa personale per una trasgressione contro Dio e l’uomo è stato enfatizzato, in Giappone è sempre stato fondamentale il rapporto onorevole del singolo verso il gruppo. In altre parole quello occidentale e una cultura basata sulla colpa e quindi intima e personale, mentre quella giapponese è basato sulla vergogna, che prevede la presenza di un “gruppo”.

Fu durante il periodo Edo furono redatti i primi codici che regolavano le punizioni. Nel 1742 i cosiddetti “100 articoli” (Kujikata Osadamegaki) divennero la fonte principale a cui gli ufficiali attingevano per determinare le punizioni. Molti trattamenti inumani delle epoche precedenti furono banditi, ma l’elenco di crimini e relative punizioni era comunque estremamente lungo e cruento. Si andava della crocifissione all’esecuzione con la spada (che per i samurai poteva essere commutata nel molto più onorevole seppuku o suicidio rituale), fino a punizioni minori come la schiavitù, il bando, la confisca dei beni, la fustigazione pubblica anche associata all’esposizione pubblica mentre si era legati e l’irezumi, ovvero il tatuaggio che indicava il crimine commesso. Da notare come il tatuaggio dei criminali ebbe a sua volta, come conseguenza, lo svilupparsi della pratica da parte dei criminali di mimetizzare successivamente il tatuaggio con disegni più grandi ed articolati, dando origine alla leggendaria arte dei tatuaggi giapponesi. Questo è un ulteriore esempio di come un’arte è un’estetica tipicamente giapponese, sia stata ispirata da una fonte assolutamente sorprendente e inaspettata.

(consiglio anche la visione/lettura delle tavole illustrate nel Libro illustrato sugli affari penali del periodo Tokugawa

I malviventi quindi venivano prima legati e portati in processione, spesso passando nelle zone più affollate della capitale Edo, in modo che il più alto numero di persone potesse esserne testimone, fino ad arrivare sul luogo dell’esecuzione, anch’esso pubblico. Come se ciò non bastasse, dopo l’esecuzione, la testa mozzata del condannato veniva esposta al pubblico in uno dei luoghi dedicati a questo macabro rituale e che erano situati lungo le principali vie di accesso alla città. Era quindi impossibile per i cittadini comuni sottrarsi alla vista delle funzioni ufficiali nella loro vita quotidiana. Non c’è da meravigliarsi che lo spettacolo drammatico delle legature e della punizione sia diventato una parte importante della letteratura e dell’arte giapponese.

Schiacciamento con le pietre

La tortura è stata utilizzata in Giappone, come nel resto del mondo, anche per estorcere confessioni agli imputati con la differenza che qui le imputazioni non venivano formulate se non dopo aver ottenuto una confessione scritta e firmata dall’imputato stesso. Ancora oggi nel sistema giudiziario giapponese i procuratori formulano le accuse dopo aver ottenuto una confessione firmata.

Durante il periodo Edo esistevano quattro livelli di tortura considerati legali: la fustigazione, lo schiacciamento con le pietre, la legatura detta del “gambero” (ebi-zeme) e le sospensioni (tsuri-zeme). La fustigazione è facilmente intuibile in cosa consistesse e veniva attuata facendo inginocchiare l’imputato e legandone le braccia, mentre più complesso è capire come venissero messe in pratica le altre forme di tortura. ebi zemeLo schiacciamento con le pietre consisteva nel far inginocchiare l’imputato, con le mani legate dietro la schiena, su una superficie corrugata e apponendo delle pesanti lastre di pietra sulle sue cosce. La legatura Ebi consisteva nel legare le mani dell’imputato dietro la schiena, farlo sedere a gambe incrociate e legando le caviglie tra di loro ed infine legare in modo molto stretto le spalle e il torace alle caviglie. Le sospensioni consistevano nel legare le braccia dietro la schiena e sollevare il malcapitato dai polsi, un metodo molto simile a quelli utilizzati anche in Europa in età medievale.

Si può immaginare facilmente come queste pratiche avessero un livello di crudeltà sempre maggiore e come venissero eseguite in sequenza nel caso l’una non riuscisse ad ottenere la confessione sperata. Queste pratiche venivano condotte con dei limiti precisi per non provocare danni permanenti o la morte dell’imputato, ma va notato come nella stragrande maggioranza dei casi non fosse necessario superare il secondo livello di intensità, seppure vi siano stati casi in cui le torture siano state portate avanti addirittura per anni senza sortire alcun effetto, se non quello di far percepire agli stessi ufficiali che i metodi cruenti come l’ebi-zeme o lo tsuri-zeme funzionavano meglio come armi psicologiche durante gli interrogatori, che come effettivi strumenti per estorcere le confessioni.

Alle prostitute non toccava spesso sorte migliore. Le infrazioni nei confronti dei loro padroni venivano punite in modo severo e che servisse da esempio per tutte le altre. Una pratica tipica per punire chi avesse tentato la fuga era quella di lasciarla legata alla vista di tutti davanti alla loro casa, mentre per altre infrazioni erano previste punizioni come la privazione del cibo, di umiliazioni, le percosse e le sospensioni. Un’altra tortura che includeva l’uso di corde consisteva nel legare le malcapitate e poi bagnando le corde con, facendo sì che si restringessero asciugandosi, provocando ulteriori tormenti.

Queste torture, sebbene oggi ci possano sembrare quasi primitive furono talvolta utilizzate anche durante la seconda guerra mondiale per estorcere informazioni ai prigionieri. Quando l’uso della tortura fu proibito nel 1879 dal governo Meiji, secoli di brutalità videro improvvisamente la fine, pur lasciando un segno profondo nella memoria, nella consapevolezza e nella “sfera dell’immaginazione” di un intero popolo. Ed è proprio in questa trasformazione da pratica storicamente brutale a moderna arte e spettacolo erotico.


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