Nel corso dell’ultimo anno l’hojojutsu è stato trattato approfonditamente in due libri molto interessanti, scritti da Christian Russo e da Douglas Kent.
Per chi non lo sapesse, l’hojojutsu era una pratica marziale incentrata sull’uso delle corde come sistema di difesa e di immobilizzazione in uso in Giappone prima tra i samurai e, in seguito, tra gli ufficiali di polizia preposti all’arresto e imprigionamento dei fuorilegge. Da questa arte marziale, secoli dopo, ha preso spunto Ito Seiu per esplorare la sua ricerca estetica ed erotica, che ha portato poi alla nascita dello shibari moderno (per approfondimenti visita la sezione relativa alla Storia del Kinbaku).
L’hojojutsu, in realtà, ha molte più differenze che similitudini con lo shibari moderno. E’ innegabile che il corpus di tecniche dell’hojojutsu sia stata la fonte primaria di ispirazione per Seiu e le successive generazioni di rigger giapponesi, ma nella pratica, tra il kinbaku e l’hojojutsu c’è la stessa distanza che ci può essere tra un capo di abbigliamento moderno e le pelli di pecora indossate dagli uomini dell’età della pietra.

La cosa interessante è che i due libri hanno origini e approcci diametralmente opposti. Da un lato il libro “Hojojutsu – L’Arte Guerriera della Corda” è stato scritto da Christian Russo, un praticante di arti marziali, che ha scoperto l’hojojutsu tra le differenti armi tradizionali delle cinture nere (molte arti marziali tradizionali prevedono, ai livelli più alti, la pratica e allenamento con decine di armi e strumenti diversi, inclusa la corda). Il suo approccio, quindi, è più storico/filologico che pratico. Il libro contestualizza la nascita e la diffusione dell’hojojutsu e persino la traduzione integrale di un “manuale” di hojojutsu di una delle più famose scuole dell’antichità, ma non ha come focus lo studio e l’analisi delle singole tecniche.

Una delle difficoltà maggiori di chi ha mai sfogliato un libro di hojojutsu (uno fra tutti, lo storico Zukai Hojojutsu di Seiku Fujita, che è possibile visionare anche presso la nostra Scuola) è il fatto che le tecniche non vengono illustrate passo passo, ma soltanto raffigurate nella loro forma “finale”. Questi testi, quindi, non erano pensati per insegnare, ma erano piuttosto una specie di breviario, una serie di “appunti” che presupponevano una conoscenza ed apprendimento delle tecniche avvenuto per altra via (solitamente grazie all’apprendimento diretto da un Maestro). E’ un po’ come se ci si trovasse davanti un libro di matematica o di fisica in cui vengono raccolte le varie formule, ma senza che queste vengano minimamente spiegate. Questi libri sono quindi allo stesso tempo sia una fonte di conoscenza per quelli allievi che si sono addestrati su quelle tecniche o per i praticanti più capaci, che sono in grado di ricostruire le tecniche autonomamente, che una fonte di frustrazione per chi non ha solide basi. Dopotutto anche questo, nell’antichità, era un modo per assicurarsi il pieno controllo sulla diffusione dei segreti della propria scuola marziale.

Il libro “Rogue hojojutsu” di Douglas Kent può quindi risultare più interessante per chi è appassionato di kinbaku, perchè è stato scritto da un praticante di shibari con l’obiettivo di spiegare e rendere riproducibili una serie di tecniche. Nonostante l’approccio prettamente pratico, il libro di Kent mi ha colpito molto positivamente perché affronta anche una serie di aspetti riguardanti non solo la storia, ma la contestualizzazione dell’hojojutsu all’interno del suo periodo storico, eliminando una serie di “miti” e false credenze ad esso associati. Un altro punto a favore di Kent è la capacità di organizzare e presentare elementi complessi con un metodo chiaro e comprensibile ai più. Per molte delle tecniche vengono suggerite varianti, permettendo a chi legge di decidere in che modo eseguire la legatura in base alle proprie preferenze. Un punto discutibile può essere la scelta delle tecniche presentate. Certo, è vero che nella premessa Kent ha detto chiaramente che molte delle tecniche dell’hojojutsu non sono poi così efficaci per un’effettiva immobilizzazione/contenzione (diciamo pure che sono tecniche volte per lo più a limitare la capacità offensiva, che ha imprigionare per lunghi periodi), ma visto che il libro è rivolto prevalentemente a praticanti di shibari, mi sari aspettato più legature di libello medio/alto, ma è possibile che a questo libro ne segua un volume 2 nel prossimo futuro.
Quale dei due libri preferire? Ovviamente la risposta è: entrambi. Sono molto diversi tra loro e presentano ognuno aspetti complementari all’altro. Averli entrambi nella propria biblioteca è un obiettivo assolutamente alla portata delle tasche di tutti.